martedì 30 agosto 2022

 Un mestiere provvisorio

Fare la madre è un mestiere provvisorio. Lo si è per sempre, finchè si respira col naso e con la bocca, ma lo si fa in modi di diversi, persino in quantità che cambiano, in modalità provvisorie. Per fortuna.

Fare la madre è stato il mio lavoro principale negli ultimi anni. Mai l’unico, ma quello più centrale nella mia vita. Non l’ho fatto per dovere o perché mi hanno insegnato così, non so nemmeno se l’ho fatto bene. L’ho fatto e lo faccio come posso, come riesco, come sono. Essere madre è parte di tutti, uomini e donne. Generare non solo col corpo, non solo un altro essere umano, è una possibilità di ognuno di noi. Mi sembra.

Guardo i miei figli crescere. Sento che hanno bisogno meno dei miei abbracci, del mio corpo che consola, ma di più mi chiedono sguardi silenziosi, scelte non sempre gradite, capacità di ascolto, senza invadere, senza volere che le cose siano come penso siano meglio. È un lavoraccio quello di genitore. Ci si può provare. Io trovo che sia misteriosissimo, faticosissimo e bellissimo.

L’amore che provo come madre è sconfinato, esagerato, incredibile, denso di tutto, del passato, del presente, del futuro. Ma è anche vuoto. Desidera il vuoto per lasciare spazio al figlio che nasce, che germoglia, che si fa albero. Mi hanno insegnato che c’è un modo “giusto” di essere, un dover essere, un bisogno di proteggere e proteggersi da ciò da cui è impossibile farlo. Ho capito che non è così. Ci sono solo strade, modi di sentire, di vivere, di amare, di odiare, di soffrire. In una canzone bellissima, Cristiano De Andrè scrive “quanto dolore ci vuole per capire l’amore e quanto amore ci vuole per capire il dolore”. Ecco. Questa è la vita. Mi sembra che essere madre, di chiunque, di      qualunque cosa, abbia  a che fare con questo amore e con questo dolore. E con la loro libertà. Della vita.

Izziyana Suhaimi


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